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Solo tredici chilometri: al di là della verità

di Lorenzo Garofalo e Eleonora Tita, classe 5A

E allora come erano andati veramente i fatti? Quanto il processo, ricostruendoli, si era avvicinato alla loro realtà storica? Mi sembrava che la vicenda si fosse conclusa senza un autentico finale, come spesso accade nella vita.

Così termina il legal thriller Solo Tredici Chilometri, scritto da Giovanni Accardo e Mauro De Pascalis, romanzo che, prendendo le mosse da un caso realmente accaduto, ripercorre la vicenda giudiziaria lunga e controversa dell’omicidio di Johanna Pichler dal momento del ritrovamento del suo corpo fino alla conclusione del processo. Johanna viene casualmente trovata morta in un bosco nei pressi di San Stino di Livenza, in Veneto. L’indizio più significativo è la felpa che la ragazza ha intorno alla vita che porta gli inquirenti sulle tracce di Martin Scherer, un ragazzo di San Candido. Così hanno inizio tutti i tentativi dell’avvocato difensore Marco De Vitis e del Professor Serra per provare l’innocenza di Martin arrivando ad un processo assai complicato che durerà per quasi dieci anni.

Frutto di un lavoro durato ben cinque anni e di un rapporto a tratti conflittuale che ha visto lo scontro di prospettive diverse – quella del professore-scrittore Accardo, intento a voler trasformare le 1200 pagine di atti in scene e i testimoni in personaggi, e quella dell’avvocato De Pascalis, desideroso di raccontare in prima persona l’esperienza vissuta, che l’ha formato non solo professionalmente, ma anche umanamente -, il libro ci offre spunti e aspetti che emergono durante la lettura e che di certo non possono passare inosservati.

Da un punto di vista formale, oltre che romanzo civile, Solo tredici chilometri si presenta come un vero e proprio romanzo di formazione, dal momento che segue la progressiva crescita professionale del giovane avvocato, nel caso che ha fatto decollare la sua carriera, guidato e vagliato dall’esperienza e dalla maturità del professor Serra.

Si tratta a nostro avviso di un rapporto discente-docente molto interessante, in quanto non caratterizzato da unilateralità: Marco De Vitis non è un semplice acusmatico, non assorbe passivamente i consigli del professore, li utilizza bensì per implementare il suo raggio d’azione all’interno del proprio bagaglio culturale.

Ciò che risalta in maniera lampante è il connubio tra la tradizione e l’innovazione, che non si concentra sulla competizione tra i due, ma sulla collaborazione. Si crea quindi un rapporto di fiducia e di riconoscimento del sapere altrui come momento di arricchimento, che fa crescere entrambi i personaggi all’interno del romanzo. Leggendo questo libro si riesce addirittura a formarsi insieme ai personaggi, capendo che il confronto permette di crescere e che avere delle visioni diverse dagli altri non significa essere sbagliati.

Psicologicamente parlando, la caratterizzazione dei personaggi, seppur minima e a tratti superficiale, risulta essere, in ultima istanza, precisa e coerente. Dell’avvocato emerge in particolare il rapporto conflittuale con la chiusa città di Bolzano e le difficoltà nella vita di coppia, traviata proprio dall’estenuante processo che richiede tutte le sue energie. Il professor Serra ci viene presentato come una figura molto sicura di sé e del suo vissuto, tanto da diventare appunto figura di riferimento per Marco. Martin invece, persona di poche parole, spesso taciturna che non urla mai la propria innocenza, aspettando con pazienza la sentenza finale, in quanto sicuro del fatto di essere innocente, si affida ciecamente alla competenza degli avvocati. Il profilo è perciò coerente con la sua terra natia, la Val Pusteria, un ambiente freddo, cupo e chiuso.

Interessanti anche le scelte stilistiche riguardanti l’incipit e la conclusione del romanzo. La frase ‘Che possiamo noi realmente sapere degli altri? Chi sono, come sono… ciò che fanno… perchè lo fanno…’, tratta da Così è se vi pare di Luigi Pirandello è tutta un programma: esprime infatti il concetto delle maschere pirandelliane che bene si applica in una vicenda come questa in cui il gioco delle coincidenze che appare non è quello che. Ci rifacciamo così alla citazione iniziale in cui si afferma che, la verità non sempre coincide con la verità processuale, poiché essa arriva ad una conclusione per via di prove razionali ed oggettive e sta al sistema giudiziario far sì che la verità processuale coincida con la realtà fattuale. Questa storia ci insegna che nulla è come si presenta e nella vita si è in balia della fatalità del caso; lo notiamo già nella prima pagina dove è appunto riportata la citazione dello scrittore siciliano: forse è tutto causa di sfortunatissime coincidenze.

Per quanto concerne il finale, è lo stesso Accardo a rivelarci un’indecisione circa due alternative. Una prima di sapore più retorico che dà un senso definitivo al titolo e un’altra, alla fine scartata, in cui l’avvocato avrebbe fatto un riepilogo di ciò che ha imparato dalla vicenda. La scelta finale ci pare tuttavia che rimanga aperta con troppi interrogativi per il lettore. Forse una conclusione più avvincente e ricca di colpi di scena, ma che evidentemente non era possibile essendo il libro ispirato ad un fatto di cronaca, sarebbe stata più apprezzata. Stilisticamente parlando, il lessico è comprensibile, talvolta arricchito da tecnicismi giuridici. Le parti descrittive si alternano ai dialoghi in maniera bilanciata e naturale. Lo stesso Accardo rivela di essersi concentrato molto sul ricercare un registro stilistico e una forma adatte a rendere interessante, avvincente e non scontato il romanzo. Un tema che forse passa un po’ inosservato senza un’adeguata attenzione è quello del femminicidio: è bellissimo il fatto che da parte della difesa e di Martin vengano usate soltanto parole di rispetto nei confronti della vittima, che invece viene sminuita e giudicata per la sua abitudine nello spostarsi in autostop da parte di una stampa cruda e disumana. Nessuno della difesa cerca di insinuare che Johanna “se la fosse cercata” per il tipo di vita che conduceva. Questo fa onore agli autori che trattano un tema così delicato ai giorni nostri con così tanta empatia e profondità.

Altro aspetto molto apprezzato nel romanzo è la critica velata al sistema: evidenzia le criticità di un apparato giudiziario giusto e coerente, che talvolta viene applicato dalle persone in modo sbagliato o ingiusto. Il messaggio è che in quest’ultimo debba emergere la passione e la giusta coscienza nell’applicare le regole.

Questo esempio ce lo dà proprio l’avvocato De Vitis il quale si innalza al di sopra del concetto di innocenza o colpevolezza perché crede fortemente nelle leggi.

Dovendo tirare le somme reputiamo il legal thriller un’opera ben fatta che lascia il lettore sul filo del rasoio fino alla fine, portandolo all’elaborazione di congetture che a conti fatti si rivelano del tutto fallaci come accade con l’entrata in scena di Marc Legrand, il cosiddetto Olandese.

Si può inoltre aggiungere che, il libro, da una parte riesce ad abbracciare diversi temi, dall’altra presenta però un fil rouge chiaro ed evidente: gli autori, volendoci immergere ancora una volta nella filosofia pirandelliana, cercano di mostrarci che cosa sia la verità, spogliandola dunque della maschera che indossa nel corso dell’intera narrazione.

[ Il 10 dicembre 2021 le classi 4E, 5A, 5F e 5G hanno incontrato Giovanni Accardo, scrittore e insegnante, e Mauro De Pascalis, avvocato del foro di Bolzano. Dopo avere letto nelle settimane precedenti il romanzo Solo tredici chilometri, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice AlphaBeta Verlag di Bolzano, gli studenti e le studentesse hanno potuto dialogare con i due autori. ]