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Il giornale: tra le pagine della storia

di Vittoria Cestari, classe 3D

Sapete che certi studiosi chiamano il periodo in cui stiamo vivendo “era dell’informazione”?

In breve, dall’avvento di Internet, ma principalmente dei social media, le informazioni sono alla portata di chiunque in qualunque momento, un flusso continuo di novità di cui si potrebbe discutere (è una cosa positiva?); ma noi non siamo qui per questo. Addentriamoci invece nella storia dell’arte giornalistica, partendo dai nostri antenati romani fino ai quotidiani digitali.

La prima forma di diffusione di notizie risale all’antica Roma, dove gli “Acta Diurna Populi Romani” venivano esposti ai cittadini. Si trattava di resoconti stilati giorno per giorno, riportanti fatti politici o sociali considerati rilevanti: questa usanza durò almeno fino alla fondazione di Costantinopoli, nel 330.

I monaci e i cronachisti si occupano di mettere per iscritto i fatti quotidiani fino al XV secolo, lasciando spazio nel XVI secolo ai “canard” e ai “fogli avvisi” veneziani; questi ultimi erano destinati principalmente a commercianti, banchieri e uomini di Stato, in quanto aggiornavano sui cambiamenti di mercato e sulle guerre che la Serenissima intraprendeva nel Mediterraneo. Venivano pubblicati mensilmente, e venduti al prezzo di due soldi: la moneta con questo valore, a Venezia, si chiamava “gaxeta”. Ed ecco qui la nostra gazzetta, termine che, leggermente adattato alle varie lingue, si è diffuso in tutta Europa.

Con il tempo le pubblicazioni stampa diventarono anche a carattere settimanale, includendo notizie dall’estero e aventi il formato di brevi libri. Raramente delle copie raggiungevano le province, ma quando nacque il servizio postale si pensò bene di creare gli abbonamenti: ora anche chi abitava tra le alpi austriache o sulle coste più meridionali dell’Italia poteva tenersi aggiornato, a patto di avere soldi da spendere come voleva (privilegio non proprio scontato all’epoca).

Naturalmente, poiché questi secoli non erano tra i più democratici della storia dell’uomo, il compilatore e l’eventuale stampatore avevano sempre goduto di pochissima libertà: la censura era applicata da tutti i governi. Interessante come certe abitudini fatichino a morire.

L’attività giornalistica vera e propria ha inizio con il Seicento, per due principali motivi: il commercio e le società diventano più dinamiche, comportando la necessità di tenersi aggiornati sui cambiamenti di mercato; le tensioni politiche si accentuano, e le testate cominciano ad avere posizioni sempre più chiare, supportando una fazione piuttosto che un’altra. Sono questi i primi passi per il giornalismo moderno.
Il primo quotidiano così propriamente detto nasce a Lipsia nel 1660: la “Einkommende Zeitungen” era una testata letta principalmente dalle famiglie benestanti, riguardante fatti di cronaca, economia e politica, sia interna che estera.

La Gazzetta di Mantova è il più antico quotidiano italiano: risale al 1664, e aveva pubblicazione settimanale.

Gli inglesi abbracciarono quella nuova forma di diffusione di notizie con entusiasmo, facendo crescere in maniera esponenziale il mercato della stampa quotidiana: durante la prima metà del 1700 nascono giornali come il “Daily Courant”, il “Daily Post” e il “Daily Journal”, e nel 1731 si contano ben 400 testate giornalistiche solo in Inghilterra. Sei anni dopo nasce il “News Letter” a Belfast: tutt’ora esistente, è il più antico periodico in lingua inglese.

Sempre durante questo periodo, al pari di giornali più “seri”, nascevano le prime riviste di informazione leggera, come “The Gentleman’s Magazine”, che conia la parola magazine con il significato che le attribuiamo noi oggi.

Le riviste culturali erano già apparse quasi un secolo prima in Francia, con il “Journal des savants”, ed è su questa scia che in Italia spopolano veramente, diventando testate giornalistiche molto famose e apprezzate, come il fiorentino “Novelle letterarie” e il veneziano “Giornale de’ letterati d’Italia”.
Il vero manifesto del nuovo giornalismo settecentesco è l’inglese “The Spectator”, che attira l’attenzione del pubblico borghese con recensioni, aneddoti, racconti e riflessioni presentati come se si trattasse di discussioni avvenute in un immaginario club, utilizzando uno stile ironico e colloquiale. “Il Caffè” di Pietro Verri (1764) ne prende chiara ispirazione: in una bottega di caffè, vari ospiti discutono su politica e attualità, rendendo la lettura leggera e universale. Grazie a queste caratteristiche divenne probabilmente il più importante mezzo di informazione per illuministi e non che, come scritto da Verri stesso, potevano diventare un po’ più europei, da romani, fiorentini, genovesi o lombardi che fossero.

Con l’inizio dell’Ottocento, vari editti, tra papali e reali, resero i periodici pubblicabili liberamente dagli editori, sciogliendo le catene che fino a quel momento li avevano legati allo Stato. La censura rimase in vigore, per quanto leggermente allentata, ma è solo con l’editto di Carlo Alberto del 1848 che il concetto di libertà di stampa cambia completamente: si passa dalla censura preventiva ad una censura che riguarda soltanto gli “abusi” considerati crimini. Quest’editto e lo Statuto Albertino mettono delle basi fondamentali per il giornalismo italiano, in quanto molte delle norme in esso contenute rimangono in vigore anche dopo la fondazione del Regno d’Italia.

L’aumento della diffusione dei quotidiani si riconduce anche all’industrializzazione e alla maggiore alfabetizzazione del popolo: in termini quantitativi e qualitativi, la crescita del fenomeno del giornalismo nell’Ottocento è straordinaria, esigendo una maggiore organizzazione all’interno delle case editrici. Queste assumono, di conseguenza, una nuova immagine chiamata a soddisfare le richieste dei propri lettori: alla fine del secolo i giornali diventeranno vere e proprie imprese capitalistiche, soggette alle leggi del mercato e dell’economia.

Durante il corso del Novecento, il giornale viene migliorato e modificato dal punto di vista stilistico grazie alle nuove tecnologie, per poi approdare sui canali radio e televisivi. Il Fascismo presenta un periodo buio per il nostro giornalismo: la direzione de “La Stampa” e del “Corriere della Sera” viene ceduta al regime, per non parlare delle numerose testate che vengono semplicemente chiuse. Al contempo, nascono quotidiani clandestini come il “Non mollare”.

Crollata la dittatura, lentamente la libertà di stampa ritorna a brillare, vedendo la nascita di molteplici quotidiani e riviste a carattere politico, fieramente schierate per un partito o per l’altro, godendo di un’influenza sociale senza precedenti.

Ed ecco che arriviamo al 2000, alle fake news, alle notizie in diretta senza limiti di tempo e spazio. Altro che “Acta Diurna”, noi abbiamo le stories de “La Repubblica” su Instagram. Ma per quanto il diffondersi delle notizie sia cambiato in questi secoli, si sia evoluto e abbia avuto momenti bui, la cosa più importante rimane il diritto a sapere la verità dei fatti, in maniera oggettiva e completa. Finché abbiamo questo, abbiamo anche democrazia, giustizia e libertà.