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Il commercio di armi in Italia

L’articolo 11 della Costituzione italiana recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Da questo articolo traspare il profilo antibellico, diplomatico e pacifista dell’Italia, una posizione a cui si è pervenuti solo dopo le tragiche esperienze delle due grandi guerre del Novecento. Oltre all’articolo 11, le armi e il commercio di armi sono regolamentati anche dalla legge 185, la quale vieta l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso paesi in conflitto (a meno che non siano stati aggrediti da altri paesi), verso paesi la cui politica contrasti con i principi del sopracitato articolo 11 della Costituzione e verso paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dell’ONU, dell’UE o del Consiglio d’Europa in materia di diritti umani. L’Italia ripudia la guerra, o perlomeno questo è ciò che la legislazione suggerisce. I fatti però mettono in luce un’altra realtà, quella più ipocrita e di intenti meno nobili, ovvero quella ricca (e poco controllata) del commercio italiano di armi. Nel 2019 il Belpaese era infatti tra i primi 10 paesi esportatori di armi, preceduto solamente da Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Cina, Regno Unito, Spagna e da Israele. Inoltre, negli ultimi anni, sempre meno stati tendono a presentare all’ONU il rapporto sulle autorizzazioni e sulle effettive importazioni ed esportazioni in materia di armi, e l’Italia è tra questi.

Analizzando la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, l’unico documento che il governo italiano è obbligato a presentare ogni anno, si nota come la maggior parte delle autorizzazioni di esportazione concesse dal governo italiano non sia rivolta a paesi membri della Nato o dell’Unione europea; al contrario, le autorizzazioni riguardanti paesi africani e del Medio Oriente si stanno intensificando sempre di più. Tra i destinatari si contano regimi repressivi, monarchie assolute, paesi in conflitto. L’Italia quindi non solo viola la legge 185 e l’articolo 11 della Carta fondamentale, ma contribuisce a rendere il mercato delle armi sempre meno controllato e meno trasparente. Ne è esempio la vendita di armi in Egitto: l’11 giugno 2019 sono state vendute all’Egitto due navi da guerra, il tutto senza passare per il voto delle Camere, nonostante la legge preveda che l’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento siano “conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”. L’Egitto è il paese che nel 2019 ha beneficiato della maggior parte delle autorizzazioni italiane, sebbene si sappia ormai da tempo della persecuzione perpetrata dal regime egiziano nei confronti dei cosiddetti dissidenti, di cui è stato vittima il ricercatore Giulio Regeni e che ora sta subendo Patrick Zaky. Non ci si può dunque stupire del fatto che il governo italiano faccia poca pressione all’Egitto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e la liberazione di Zaky: i grossi interessi economici prevalgono anche sui valori di cui l’Italia si fa portatrice.

Ma fino a che punto si spingerà questa ipocrisia? Per quale ragione gli italiani non si indignano? Per prima cosa, il commercio di armi è un affare piuttosto distante dalla politica di tutti i giorni, non se ne sente molto parlare. Inoltre, visto che il governo italiano fornisce solo una parte della documentazione in materia di importazioni ed esportazioni di armi, risulta difficile ottenere dei dati attendibili e veritieri. Il ruolo che l’Italia gioca all’interno di questo grande meccanismo è ignoto alla maggior parte della popolazione, e data la scarsa accessibilità dei dati, risulta anche difficile informarsi sull’argomento.

In qualità di stato promotore dell’Agenda 2030, l’Italia dovrebbe essere ben consapevole che la guerra, e tutto ciò che ne consegue, tra povertà, disuguaglianza e crisi, ostacola la realizzazione degli obiettivi. Gli obiettivi prefissati sono globali e interconnessi, non è pertanto di alcuna utilità il portarne a termine solo una parte. I problemi che l’Agenda si è proposta di risolvere sono quindi problemi complessi e, come tali necessitano di soluzioni complesse. È possibile iniziare ad agire ed organizzare piani lungimiranti per il compimento dell’Agenda solo in periodi di pace e stabilità, le quali non possono per definizione esistere in un periodo di conflitto. Vendendo armi a paesi fortemente repressivi o a rischio di conflitto, l’Italia sta indirettamente ostacolando la buona riuscita di tutti gli obiettivi dell’Agenda, ma ancora nessuno ha dato segni di volersene prendere la responsabilità.

Elisa Zoner – 5A

[Immagine: foto di Vick – licenza CC – www.flickr.com/photos/vick416]