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Anna Politkovskaja, esempio tra i più alti nel giornalismo contemporaneo.

Una donna che ha fatto la storia. Una donna di coraggio eccezionale, che deve essere ricordata e ammirata dalle generazioni future. Chi è Anna Politkovskaja? Quale la sua importanza nella storia del giornalismo?

di Melania Siciliano

Anna Stepanovna Politkovskaja, nata Mazepa, è stata una giornalista russa impegnata sul fronte dei diritti umani, giunta alla notorietà internazionale soprattutto grazie ai suoi reportage dalla Cecenia; sono note le sue prese di posizione, fortemente critiche nei confronti del Presidente Vladimir Putin. Nata a New York nel 1958, studiò giornalismo e si laureò presso l’Università di Mosca. Iniziò la sua carriera lavorando per un famoso giornale russo, per poi collaborare anche a trasmissioni radiofoniche e con diverse TV libere. Anna si recò per la prima volta come inviata in Cecenia nel 1998, per intervistarne il Presidente all’epoca neo-eletto. Dal 1999 e fino alla sua morte lavorò per il periodico indipendente “Novaja Gazeta” e nei suoi articoli non ebbe mai timore di criticare apertamente l’esercito e il governo russo per le gravi violazioni dei diritti umani, sia in Cecenia sia in Russia. Anna Politkovskaja si recò spesso in Cecenia per sostenere le famiglie delle vittime, per visitare i campi profughi e gli ospedali; ebbe l’occasione di intervistare alcuni militari russi oltre ai civili ceceni. Con un coraggio davvero eccezionale, se consideriamo il clima politico in cui operava, ha pubblicato alcuni libri profondamente critici sulla conduzione della guerra in Cecenia e sul regime di Vladimir Putin: “Cecenia. Il disonore russo” e “La Russia di Putin”; diversi fatti della storia russa recente, da lei vissuti in prima persona, sono narrati nel volume “Diario russo” .

Esercitando la sua professione si fece molti nemici, ricevette numerose minacce di morte da parte di coloro i cui crimini contro la popolazione civile in Cecenia lei aveva reso di pubblico dominio. Molto forte e determinata, non si arrese nemmeno quando, nel 2001, fu costretta a fuggire in Austria per il pericolo che le minacce si trasformassero in fatti. Anche se ciò non poté mai essere provato, pare sia stata anche vittima di un tentativo di avvelenamento, poiché era stata colta da un malore, entrando poi in coma, dopo aver bevuto del tè a bordo dell’aereo che la stava portando a Rostov. Anna non si fece intimorire nemmeno in quella occasione e proseguì a testa alta. Prese parte a numerose conferenze per esprimere il suo pensiero; a Vienna, nel corso di una di queste, disse testualmente: «Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola a essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare.»

foto RNW.org

Nel 2002 Anna Politkovskaja si assunse il ruolo di negoziatrice durante l’assedio del teatro Dubrovka di Mosca. La sera del 23 ottobre 2002 un commando di terroristi ceceni aveva fatto irruzione nel teatro prendendo in ostaggio il pubblico; armati, pronti a tutto, dotati anche di giubbotti esplosivi, i terroristi sequestrarono e tennero in ostaggio più di 800 persone. Gli uomini e le donne del commando si definivano “kamikaze” e minacciarono di far esplodere l’edificio. In quei giorni la giornalista era presente davanti al teatro non solo per cronaca: fu proprio lei a portare all’interno del teatro l’acqua per gli ostaggi. Anna gestì la trattativa tra il governo russo e i terroristi asserragliati nel teatro e fu solo grazie alla sua opera di mediatrice che fu evitata la strage totale. Furono momenti altamente drammatici, Anna rimase colpita dalle condizioni psicologiche nelle quali si trovavano gli ostaggi, che erano ormai tutti rassegnati a morire. La Politkovskaja si rifiutò di sopportare e di accettare questo. Tuttavia, il 26 ottobre, le forze speciali russe fecero irruzione nel teatro usando gas paralizzante. Centinaia di persone morirono. Nacque un legame molto forte tra la giornalista e i familiari delle vittime della Dubrovka, un legame nato in virtù della capacità di Anna di condividere il dolore altrui.

Il 7 ottobre 2006 Anna venne trovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, uccisa a colpi di arma da fuoco. Furono in molti a rilevare l’inquietante coincidenza che la sua morte fosse avvenuta lo stesso giorno del compleanno di Vladimir Putin; a tutt’oggi le circostanze del suo assassinio non sono ancora state chiarite.

foto Amnesty Finland

Anna volle sempre rivendicare il suo modo di essere testimone: non voleva essere una semplice spettatrice, non poteva accettare le violenze che i civili stavano subendo per mano dell’esercito e del governo russo, voleva bensì far sentire la sua voce e denunciare pubblicamente i soprusi. Come giornalista teneva a essere esaustiva, chiara e diretta. Voleva rendere consapevoli le persone, mostrare ai suoi lettori qual è la verità. I suoi articoli rendono il lettore partecipe dei fatti, sempre resi da lei con efficacia magistrale. Anna fu definita anche “fotoreporter”, poiché attraverso i suoi articoli riusciva a far vivere ai suoi lettori anche i più piccoli dettagli.

Manifestazioni di cordoglio per la morte della giornalista (Amnesty Finland)

Il suo è stato sicuramente un lavoro impegnativo e logorante, che le costò diversi scontri con l’opinione pubblica e con i suoi stessi colleghi giornalisti, alcuni dei quali non si vergognarono di deridere Anna pubblicamente. Possiamo solo apprezzare il lavoro e il coraggio di Anna, che era solita firmare i suoi lavori, le sue dichiarazioni e le sue indagini. Non aveva timore di nascondersi dietro all’anonimato, fu proprio lei ad affermare che “Chi si sente nel giusto non ha bisogno dell’anonimato”. I suoi libri sono stati pubblicati all’estero, la portata del suo lavoro è riconosciuta in tutto il mondo fatta eccezione per la Russia, dove fu anche vittima di un sequestro ad opera di alcuni militari. Il suo impegno e il suo lavoro, spesi in difesa dei diritti umani in zone ad alta conflittualità, spesso con grande rischio personale, le sono valsi numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Global Award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani. Come lei stessa era solita dire, “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. Nel 2009 il Comune di Ferrara e la rivista “Internazionale” hanno istituito il premio giornalistico internazionale “Anna Politkovskaja”, per onorarne la memoria e per sostenere l’impegno e il coraggio dei reporter che si distinguono con le loro inchieste.