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Raccontare viaggiando

Grazie alle associazioni umanitarie oggi esistenti nei paesi dell’Africa, del Sudamerica e dell’Asia sono migliaia le persone che vengono ogni giorno curate, formate scolasticamente ed aiutate attraverso la costruzione di strutture di accoglienza, lo scavo di pozzi… Ma per fondare tali associazioni e per sostenere le loro iniziative attraverso le donazioni, bisogna innanzitutto essere al corrente della condizione di questi paesi e dell’urgente bisogno di aiuto dei loro abitanti. Far conoscere le realtà riguardanti i paesi del terzo mondo, anche per favorire la nascita di questi progetti, è stato un impegno di molti giornalisti e scrittori che si sono recati sul posto per accumulare testimonianze ed informazioni attraverso registrazioni, fotografie ed appunti scritti. Il materiale raccolto durante il viaggio viene in seguito riportato in un libro o in articoli di giornale, che rendono le persone nel resto del mondo consapevoli della situazione dei paesi in questione, spesso con lo scopo di stimolare la nascita di progetti di soccorso umanitari. Un importante personaggio appartenente a questo settore del giornalismo è lo scrittore francese, vivente, Dominique Lapierre.

Il primo viaggio che segna l’inizio della carriera di Lapierre è quello che intraprende verso il Messico nell’estate del 1949, all’età di soli 17 anni. Egli riesce a compiere questo viaggio grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dal fondatore di Zellidja, in un progetto che propone a giovani intraprendenti di effettuare un viaggio studio in un paese straniero con la modica cifra di 10000 franchi. Il suo diario di viaggio sarà successivamente pubblicato con il titolo Un dollaro mille chilometri.

Aprendomi le porte del mondo, stimolando la mia curiosità – scriverà Lapierre – costringendomi a superare le mie paure di adolescente, quel primo grande viaggio fu il più bel regalo che il cielo potesse offrirmi all’alba del mio destino di uomo.

Nel suo più celebre romanzo, La città della gioia, Dominique Lapierre racconta la storia vera di tre uomini che, alla fine degli anni settanta, si ritrovano per motivi diversi a vivere a Calcutta, in un’immensa baraccopoli chiamata Anand Nagar (“Città della gioia”), da cui deriva il titolo del libro.

Il primo di loro è Hasari Pal, un contadino del Bengala occidentale che si reca a Calcutta in seguito ad un disastro naturale che causa la devastazione dei suoi campi. Per salvare dalla miseria la sua famiglia, cerca un lavoro nella megalopoli ed ottiene infine di lavorare come uomo risciò;
il secondo protagonista del romanzo è Paul Lambert (il cui vero nome è Gaston Grandjean), un sacerdote cattolico francese che giunge in India per aiutare i più poveri e diseredati di Calcutta, vivendo come loro ad Anand Nagar e condividendo il loro stesso stile di vita. Egli si rende presto conto che uno dei maggiori problemi all’interno dello slum è la mancanza di assistenza medica. Per questo motivo crea un gruppo di mutuo soccorso, i cui membri sono indiani, anch’essi residenti nella bidonville, che decidono volontariamente di unirsi per aiutare i più bisognosi di cure, come i lebbrosi; inoltre fa pubblicare, grazie al giornalista di un’associazione umanitaria, un annuncio per reclutare giovani medici decisi ad avviare una struttura per fornire assistenza medica agli indigenti.
Sarà grazie a questo articolo che il giovane medico Max Loeb, terzo protagonista del libro, figlio di un ricco e famoso chirurgo proprietario della più lussuosa clinica privata di Miami, si stabilirà nella baraccopoli per un anno, affiancando Paul Lambert nella cura dei lebbrosi e degli altri infermi.

Proprio su questa baraccopoli, Lapierre scrive:
Dalla prima mattina in cui vi entrai, durante il monsone, mi resi conto che quel miserabile, disumano slum di Calcutta chiamato la Città della gioia era uno dei luoghi più straordinari esistenti sulla faccia della Terra. Quando ne ripartii, due anni dopo, portando con me una ventina di quaderni zeppi di appunti e centinaia di ore di registrazione, sapevo di avere tra le mani il materiale per il libro più importante della mia vita: un’epopea dell’eroismo, dell’amore e della fede, uno splendido tributo alla capacità dell’uomo di superare le avversità e di sopravvivere a qualunque catastrofe.

Così, dopo un anno di lavoro, nel 1985 il libro viene pubblicato, riscuotendo un grande successo in tutta Europa. In seguito alla pubblicazione della Città della gioia, Dominique Lapierre riceve numerose lettere di lettori provenienti da diversi paesi, spesso contenenti assegni, gioielli od oggetti di valore. Egli, da parte sua, devolve metà dei suoi diritti d’autore alla creazione ed al sostegno di istituzioni umanitarie. Nel 1982 fonda inoltre, insieme a sua moglie, un’associazione chiamata Action pour les enfants des lépreux de Calcutta, con lo scopo di organizzare e convogliare i fondi ricavati dai suoi diritti d’autore e dalle donazioni dei lettori, che in pochi anni raggiungono la cifra di 12 milioni di euro. Oggigiorno le iniziative umanitarie avviate dal giornalista e viaggiatore Dominique Lapierre e da sua moglie sono 26 e comprendono centri di accoglienza per bambini lebbrosi e poliomielitici, dispensari, scuole, navi ospedale, centri di riabilitazione, programmi educativi, scavi di pozzi ed altri progetti. In soli 20 anni queste iniziative hanno permesso di strappare ad una condizione disperata circa 9000 bambini vittime di lebbra, di guarire 4 milioni di tubercolotici e di scavare più di 500 pozzi di acqua potabile.

Così un giornalista può conoscere, raccontare ed anche migliorare il mondo!

I lebbrosi di Raoul Follereau

C’è un altro giornalista francese che ha fatto come Dominique Lapierre. Il suo nome è Raoul Follereau (1903-1977). A soli 15 anni tiene una conferenza intitolata “Dio è amore“, nella quale afferma che “essere felici è fare felici gli altri“. Nel 1936 viene inviato dal suo giornale in Africa dove incontra per la prima volta i malati di lebbra. Scopre così un mondo sconosciuto e terribile, e da quel momento dedica la sua vita ai lebbrosi. Scrive appelli ai politici; racconta le sue esperienze sui giornali facendo conoscere a tutti un mondo dimenticato; raccoglie fondi dai suoi lettori; compie 32 volte il giro del mondo, lavorando instancabilmente per migliorare la qualità della vita delle persone colpite dalla malattia. Nel 1954 instituisce la Giornata mondiale dei malati di lebbra, ancora oggi esistente, che coincide con l’ultima domenica di gennaio, quando nelle chiese viene letto il brano del Vangelo in cui Gesù incontra e guarisce i lebbrosi.