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Tre giornalisti all’inizio del Novecento

«In Italia ci sono soltanto tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini, D’Annunzio e Marinetti» (V. Lenin).

Dinamismo, elettricismo, positivismo, arditismo, vitalismo, tutti sostantivi attribuibili al nuovo movimento del primo Novecento: il Futurismo. L’uscita del Manifesto del Futurismo, a firma Filippo Tommaso Marinetti, risale all’11 Ottobre del 1908, sul giornale francese Le Figaro.

La redazione della testata parigina spettava, a suo tempo, al direttore Gaston Calmette. In un secondo momento, l’anno seguente, Il Manifesto venne divulgato in Italia: la prima versione venne pubblicata all’interno di Poesia, un periodico fondato dallo stesso Marinetti nel 1906 con l’intento di divulgare innovative voci poetiche per confermare, attraverso i consensi del pubblico, l’interesse degli italiani nella creazione di una nuova ideologia per la costruzione di una nuova società. Dopo aver constatato il suo successo, infatti, molti dei documenti futuristi, a partire dal Manifesto stesso, vennero pubblicati nella rivista. In questo modo Marinetti si autodotò di uno strumento per condizionare il popolo italiano e per instillare in lui le sue idee estetiche, letterarie e politiche.

A Filippo Tommaso Marinetti possiamo attribuire un ruolo importante, all’inizio del secolo scorso, nella promozione dell’azione violenta, di un rivoluzionarismo antiborghese e di un prepotente nazionalismo aggressivo. Questa figura emergente si fece strada attraverso una martellante pubblicità resa possibile grazie alle numerose riviste che condizionavano fortemente l’opinione pubblica di allora. La sua fortuna fu quella di aver compreso l’importanza della stampa nella società di massa. Come diffondere le sue idee? Come trasformarsi in un leader? Come farsi conoscere ed applaudire? Marinetti capì che il futurismo si sarebbe affermato se lui stesso fosse diventato un capo-popolo, una figura di riferimento per le motitudini di allora.

Ed ecco che entra in gioco l’attivismo, la propaganda. Marinetti non si faceva scrupoli: arrivò a finanziare giornali prossimi al fallimento, purchè parlassero di lui. Pagava i giornalisti a patto che lo esaltassero o lo deridessero, a lui non importava. Per Marinetti valeva il detto: “si parli bene o male di me, purchè se ne parli”.

Assomigliava, in questo, ad un altro suo contemporaneo, ad un altro uomo di lettere, appassionato alla politica e, come lui, giornalista: Gabriele D’Annunzio. Il “poeta soldato”, che fu ottimo celebratore e promotore di se stesso, fu sempre molto attento a utilizzare i giornali di allora per farsi conoscere, per costruire la sua fama di uomo “inimitabile”. Viveva una avventura sentimentale? La raccontava subito dopo, per trasformare un semplice fatto in una leggenda. D’Annunzio, con i suoi libri, le sue gesta (talvolta anche militari), ma soprattutto grazie alla sua capacità di raccontarsi ad un grande pubblico e di imporre a tutti una precisa narrazione, divenne il modello, la guida di una generazione di “dannunziani”.

Quale fu il rapporto tra Marinetti e D’Annunzio? Per certi versi si assomigliavano; entrambi furono interventisti durante la prima guerra mondiale e condividevano la passione per i motori, la velocità, la civilità del futuro. Ma non potevano che essere, anche, rivali: volevano entrambi primeggiare.I due vivevano in un continuo rapporto contradditorio che si dispiegava fra ambigui amichevoli incontri pubblici e riserve ironiche reciproche, ma erano entrambi dotati di qualità poietiche non da poco e di un’oratoria scintillante. Grazie a queste ultime due fu possibile una divulgazione massificata degli ideali di guerra, attivismo e azione, fiducia smodata nello sviluppo tecnologico ecc.

Soltanto per merito di questa comunicazione mediatica martellante fu possibile il successivo consegnarsi delle masse ad un ideale troppo fortemente propagandato per essere rifiutato: progresso, disprezzo della malinconia, esaltazione dell’impeto, rifiuto del passatismo, movimento e via dicendo. Pierfrancesco Morabito, nel suo breve saggio Studi e Ricerche. Movimenti artistici e società di massa: il futurismo italiano, riassume così lo spirito del Movimento: “È un’adesione immediata e perciò non fondata razionalmente, ma sufficiente per permettere ai futuristi di auto-proclamarsi avanguardie di un rinnovamento che l’uomo comune non riesce ancora ad avvertire. Grazie alla sua fiducia nell’arte, il futurista si crede capace di una preveggenza che automaticamente lo pone molto al di sopra del pubblico, che ai suoi occhi tende sempre più ad assumere le sembianze di folla, massa amorfa facilmente influenzabile.

Marinetti e D’Annunzio hanno contribuito in qualche modo a far crescere un fenomeno molto più grande di loro: il fascismo. Ma il vero leader di questo movimento, il vero capo politico fu un altro. Un altro scrittore e giornalista: Benito Mussolini.

Fu attraverso la direzione del giornale socialista l’Avanti, a partire dal 1912, che Mussolini diventò un uomo politico importante nella storia italiana. Egli credeva fermamente nella forza del giornalismo, tanto da scrivere, nel 1923: “Il giornalismo non è per noi un mestiere ma una missione: non siamo giornalisti per lo stipendio, in questo caso non ci sarebbero mancati posti migliori. Il giornalismo non è per noi un foglio che voglia essere riempito settimanalmente con quello che ci capita. No, il giornalismo per noi è un partito, una bandiera, un’anima”.
Lasciata la direzione de l’Avanti Mussolini si buttò, proprio come Marinetti e D’Annunzio, nell’interventismo. Ma lo fece fondando, con soldi provenienti da vari “poteri forti”, un nuovo giornale, Il popolo d’Italia, che gli sarebbe poi servito, finita la guerra, per dare forza al Fascismo. In questa sorta di avventura egli si avvalse della sua capacità di utilizzare il linguaggio adatto all’epoca: era senza dubbio meno poetico e meno colto di D’Annunzio; meno retorico e originale di Marinetti, ma più “furbo”. Sapeva come parlare alle masse e lo faceva con frasi brevi, concise; con un linguaggio accessibile a tutti e facilmente memorizzabile. Amava sollevare polemiche di fuoco, come i suoi “amici” e concorrenti, ma fu il più abile di tutti a gestire quella grande novità che fu il primo partito di massa italiano. Commentando l’abilità giornalistica di Mussolini, Indro Montanelli avrebbe scritto: “Per chiarezza, asciuttezza, semplicità di linguaggio e ritmo di argomentazioni, gli editoriali di Mussolini non avevano rivali” (Corriere della Sera, 20/3/2001).

1908: Trento al centro

Per chissà quale coincidenza Alcide de Gasperi, Cesare Battisti e Benito Mussolini, tre personalità chiave del Novecento italiano, incrociarono i loro percorsi nella nostra città, a suo tempo ancora austro-ungarica, nello stesso anno: il 1908. Tutti e tre politici, tutti e tre giornalisti.
In primis merita di essere ricordato Cesare Battisti, socialista che fin da giovane dimostrò grande capacità e destrezza nel mondo del giornalismo fondando, nel 1900, il quotidiano Il Popolo. Nel frattempo, nel 1905, Alcide De Gasperi (futuro “padre” della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea), venne nominato direttore de La Voce Cattolica (poi Il Trentino). Intanto nel febbraio del 1908 arrivava a Trento Benito Mussolini e, per qualche mese, accettava l’incarico propostogli da Battisti: scrivere su Il Popolo. In questa maniera il futuro duce ebbe la possibilità, attraverso i giornali, di diffondere i suoi ideali socialisti e di far emergere il suo disprezzo nei confronti dei “clericali”, primo fra tutti Alcide De Gasperi, descrivendoli come “vilissimi mestieranti, beceri banditi […], pennivendoli senza idee e senza coraggio”.  In risposta alle accuse di Mussolini, De Gasperi, anche se con la stessa amarezza, rispose in maniera più diplomatica: “Lei minaccia di usare contro di me i suoi pugni, io uso contro di lei la legge; lei troverà ideale il suo sistema, a me sembra dei tempi barbari”.


Marinetti e Il Manifesto