donne

Intervista immaginaria a Charlotte Corday, prima della ghigliottina

Ho vendicato molte vittime innocenti, ho prevenuto molti altri disastri”: queste le ultime parole della prigioniera Charlotte Corday, il giorno prima della sua morte, il 17 luglio 1793. Charlotte è una ragazza apparentemente tranquilla ma con delle idee molto chiare: ha ucciso, qualche giorno orsono, il giornalista e deputato alla Convenzione nazionale, il giacobino Jean-Paul Marat.

Lo ha fatto con la convinzione di salvare il proprio paese, la Francia. Lasciata la sua Caen, si è diretta a Parigi, dove ha acquistato, in una bottega, un lungo coltello, senza sollevare il minimo sospetto. Dopo svariate richieste, ignorate, di un’udienza con il deputato Marat e dichiarando di essere in possesso di una lista di nomi di cospiratori che operano nella sua città natale, è riuscita ad ottenere un colloquio: lo ha colto nel momento del bagno, ma lui incuriosito dai nomi, la ha fatta entrare.

I due sono stati lasciati soli, così Charlotte ne ha approfittato estraendo il coltello e colpendolo al cuore; senza nemmeno tentare la fuga, coperta del sangue “del mostro”, la giovane è rimasta in attesa di essere arrestata.

Con questa intervista, posteriore al suo interrogatorio, in cui ha confessato di aver agito intenzionalmente, proviamo a conoscerla meglio.

Madame Corday, come è nata l’idea di commettere un atto così clamoroso?

Sono cresciuta in un convento e non ho mai avuto una visione completa del mondo esterno: appena uscita dal convento dell’Abbaye-aux-Dames di Caen fui ospite di una vecchia zia con la quale condivisi una casa tetra e un’esistenza spenta. L’unico svago divenne la lettura di autori del periodo come Voltaire e Rousseau che fecero scaturire in me riflessioni e idee repubblicane. Il mio interesse crebbe e mi colpì molto la rivoluzione francese che scosse realmente tutta la Francia. Ma quello che davvero mi spinse a compiere questo omicidio fu l’incontro con alcuni girondini scappati da Parigi dopo essere stati sconfitti con le armi dai montagnardi. La Francia necessitava di voltare pagina.

Ora che ha compiuto l’omicidio, crede ne sia valsa la pena?

Vi ripeto ciò che ho dichiarato anche al mio processo: “ho ucciso un uomo per salvarne centomila”. Non potrò assistere agli effetti concreti della mia azione, ma sono certa che porterà dei risultati positivi.

E’ convinta quindi che Jean Paul Marat sia il responsabile del Terrore che scuote la Francia?

Sono consapevole del fatto che non sia l’unico personaggio che ha contribuito al declino della nazione, ma riveste un ruolo importante ed è il maggior sostenitore degli atti violenti e i massacri. Il suo motto parla chiaro: “la salvezza della Francia passa dal sangue!”. Avendo eliminato una figura come Marat sono certa che si fermeranno i bagni di sangue in atto da qualche mese.

Torniamo alle sue idee, vorremmo capire meglio la sua visione politica.

Inizialmente le mie idee erano fermamente repubblicane, poi un episodio mi portò a cambiare opinione. Tra il 1792-1793 ho iniziato a frequentare gruppi girondini, fu così che la mia coscienza politica maturò. Il 7 luglio 1793 Marat fece il suo ingresso a Caen per una parata dell’esercito federalista con la quale voleva attirare giovani volontari: da quel momento l’odio verso quell’uomo divampò nel mio cuore.

A cosa si riferisce quando parla dell’episodio che cambiò il suo punto di vista?

Il parroco di una chiesa di Caen, padre Gombault, si era rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e dopo essere stato inseguito dalle autorità rivoluzionarie era stato scovato nel suo nascondiglio nei boschi di La Delivandre ed inseguito ghigliottinato nella Place du Pilori. L’accaduto mi sconvolse in quanto era la prima persona ad essere ghigliottinata a Caen.

Ultima domanda: ricorda le parole di Marat, prima di morire?

Appena abbandonò la penna con la quale aveva scritto i nomi che gli avevo consegnato mi guardò e con fermezza mi disse che nel giro di pochi giorni sarebbero finiti tutti sulla ghigliottina. Ma, l’ultima sua esclamazione fu: “A moi, ma chère amie!”.

E ora, davanti alla morte, lei cosa può dirci?

Ho ucciso un uomo, per salvarne centomila. Non ho nuociuto affatto uccidendo Marat: condannato dall’universo, lui è fuori dalla legge. Il mio dovere mi basta, tutto il resto è niente

Charlotte ci ha salutato, con un sorriso mesto. Abbiamo appreso, dopo la morte, che portava con sé un foglio ripiegato, con un appello ai francesi. C’era scritta, tale e quale, tra le altre cose anche l’ultima risposta che aveva dato a noi…

Di Lisa Pedrolli e Martina Merlo, 4E