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Sguardo attorno all’intelligenza artificiale

di Alessandro Bortoli e Lorenzo Spinelli

Le mie riflessioni prendono spunto dalle tematiche trattate da alcuni documentari offerti da Rai-Scuola da me visionati, quali l’influenza della tecnologia e il suo potere di controllo, che mi hanno permesso, lo scorso anno, in classe terza, di elaborare un concetto di ‘intelligenza artificiale molto diverso da quello che avevo precedentemente.
L’uso che ne fa la politica mi ha fatto riflettere sulla effettiva utilità della tecnologia, poiché non avevo mai realizzato il potere che questa può esercitare anche in campi come l’economia e il governo di uno stato.

In questi ultimi anni la tecnologia è diventata indispensabile per molti di noi, sia per lavoro, per svago, per studio o per la semplice comunicazione. Possiamo, ormai definirci dipendenti dalla tecnologia, sia in modo positivo che negativo, poiché essa offre svariate opportunità, che possono mutare, però, in pericolo se colte in modo scorretto.

È risaputo che i cosiddetti “nativi tecnologici”, sono destinati ad una vita basata sulle piattaforme digitali, che si stanno espandendo sempre di più. I dati lo confermano, dal momento che il 95% degli adolescenti italiani utilizza o possiede uno smartphone e il 98% ha creato un profilo sui più famosi social network, tra cui Whatsapp, Facebook, Instagram e Snapchat.

Oggi, la rete, quindi, pullula di dati che vengono prodotti dai singoli utenti, ovvero da chiunque si colleghi ad un sito internet, tramite computer o mobile. Questi dati, anche chiamati con il termine inglese “Big Data”, sono pioggia immateriale, inarrestabile e fittissima, che è in grado di cambiare le nostre vite, perché registrati, organizzati e riutilizzati da algoritmi, basati su una logica di catalogazione che potremmo definire quasi aristotelica.
Essi, quindi, hanno un potenziale enorme e sono persino in grado di controllare e manipolare le nostre azioni e relazioni. Un esempio a mio avviso tanto affascinante quanto spaventoso, è rappresentato dalla città di Singapore, dove la vita quotidiana degli abitanti è completamente digitalizzata.

In questa città, infatti, il Presidente, per governare al meglio, si serve, oltre che di un governo tradizionale, inteso come organo composto da persone “reali”, anche di un “governo digitale”, il quale si affida ad un super computer e ad algoritmi e software complessi, grazie ai quali si possono anticipare e soddisfare i bisogni e i comportamenti dei cittadini. La città e gli edifici pubblici, quali scuole, uffici, supermercati, sono costellati di sensori, webcam e droni, i quali memorizzano azioni e tracciano gli spostamenti di persone e mezzi e le relazioni che intercorrono tra essi.

Ritengo che questa digitalizzazione sia estremamente affascinante sotto alcuni punti di vista, quali ad esempio la sicurezza civile, che porta alla quasi completa scomparsa di reati e azioni moralmente scorrette, invidiabile da ogni altro Stato. Nessuno, infatti, osa commettere atti immorali o illegali, poiché, in caso di mancato rispetto delle regole, sarebbe punito severamente in modo pubblico. Basti pensare che nella grande città-stato viene punito anche il cittadino “che getta la spazzatura in terra”, il quale come pena deve indossare per un periodo predefinito una maglietta riconoscibile da tutti i concittadini e, in caso di recidività, pulire il parco.
Il risultato è quindi una società disciplinata, formata da cittadini che tendono al giusto comportamento morale ed etico, anche perché spinti e forse costretti a questo stile di vita. Ciò può risultare destabilizzante, considerando il fatto che tutto ciò che riguarda l’uomo, in particolar modo la politica, non può essere riassunto in algoritmi uguali ad ogni individuo, in quanto l’uomo necessita di una libertà personale, che lo porti a differenziarsi ed a elaborare una propria identità.
D’altra parte, tutte le informazioni personali sono contenute nella copia digitale dell’identità del cittadino (SmartCard), la quale è accessibile dagli alti funzionari, dalle forze dell’ordine, o da chiunque abbia un codice di accesso. Si ha, di conseguenza, una perdita della propria privacy e libertà individuale, dal momento che si è chiusi in una “gabbia” protetta in cui tutti possono conoscere i tuoi dati sensibili (come spesso accade anche sui social network) e si assiste alla “cosificazione” e “reificazione” del cittadino e, in primo luogo dell’individuo, il quale diventa una stringa di numeri e cifre, perdendo, quindi, la propria vera identità.
È davvero l’uomo un algoritmo, un numero, o ha una propria identità, caratterizzata dalla personalità, dagli interessi e dalle relazioni?
Se prima la risposta mi poteva sembrare ovvia, ora non lo è più, dato l’interesse e il bisogno cronico che molti individui presentano nell’identificarsi in un social network, basando la propria carriera e il proprio futuro, sulla reputazione che ognuno si costruisce, tramite foto, video e post di vario genere.
Si ha, quindi, una società basata non più sui valori morali del singolo, bensì su uno schermo, un insieme di file che compongono la personalità, e, talvolta, la vita dell’individuo.
Un altro grave problema della tecnologia, che a nostro parere è particolarmente importante, è il cosiddetto cyberbullismo, termine inglese che identifica il bullismo che ha luogo in una dimensione digitale. Il Parlamento, in seguito al primo suicidio causato dal cyberbullismo, approvò delle leggi per contrastare il fenomeno e introdusse nelle scuole corsi di autodifesa online.
Questo però, non ha arrestato gli abusi che migliaia di persone subiscono ogni anno tramite contatti online. Questo fenomeno è infatti in crescita da svariati anni. Quotidianamente vengono caricati e diffusi in rete un numero elevatissimo di video ritraenti atti espliciti, quali stupri o risse.

Il tutto è dovuto dal fatto che in rete si ha meno timore nello scrivere determinate critiche, insulti o commenti che siano, che risulterebbe più difficile dire nella vita reale a ‘quattr’occhi’, poiché si gode di un senso di protezione creato dallo schermo, che azzera i freni inibitori.
Ritengo che una tale violazione della privacy e della dignità dell’individuo, vada punita e fermata, incrementando le scarse precauzioni odierne; ad esempio ponendo dei limiti ferrei sui social, al fine di non arrivare ad atti o espressioni aggressive nei confronti di qualcuno più “debole”, o di non poter pubblicare informazioni o contenuti particolarmente sensibili, che potrebbero diventare quindi strumento di discriminazione.

Rattrista molto anche il fatto che molti ragazzi mettano al primo posto i propri profili social,  la propria visibilità su questi e i propri “Like”, anziché prediligere una vita e dei rapporti reali.
Una valida soluzione potrebbe essere, a mio avviso, quello dell’educazione e della sensibilizzazione nei confronti degli utenti di internet e, in particolare, dei più giovani, seguendo anche gli ideali socratici e platonici, come già sta avvenendo in molti Stati e in svariate scuole, le quali iniziano a promuovere corsi e progetti riguardanti i danni e i pericoli dei social media e della rete.
La pedagogia deve intervenire e trasmettere il messaggio che l’importante sono la personalità e la propria interiorità, le quali formano e identificano la persona, mentre i “mi piace” sono solo un inganno che dà un piacere effimero. Inoltre, attraverso questi “Like” che lasciamo, i vari social e aziende sono in grado di conoscere i gusti e le preferenze dell’utenza. Questo permette loro di incrementare l’economia dell’attenzione, ovvero l’attrarre gli utenti con ciò che a loro piace o può piacere, al fine di vendere prodotti o diffondere un messaggio di propaganda.
A tal proposito, vorrei aggiungere che sono piuttosto inquieto per quanto riguarda ciò che, in futuro, queste ditte potranno fare con le informazioni ricavate dalla rete; se la società sta sempre più perdendo i valori morali, in un futuro in cui l’uomo sarà quasi completamente minimizzato e “cosificato”, dove finiranno la nostra privacy e la nostra etica? Per salvarsi credo, quindi, sia necessario usare la nostra facoltà di pensiero al fine di controllare se stessi in primo luogo, ma anche la tecnologia e non permettere che avvenga il contrario. Trovo particolarmente interessante, ad esempio, il laboratorio che propone una traslazione dei valori e delle regole delle arti marziali sui social, come ad esempio il difendersi senza attaccare, poiché credo che regole pacifiche e di accettazione come queste siano alla base della buona comunicazione e della convivenza civile.

Ho apprezzato molto anche l’intervento della Polizia Postale, tenutosi nel nostro Liceo, il cui obiettivo era proprio quello di far riflettere noi ragazzi sull’argomento, al fine di allargare le proprie conoscenze e consapevolezza a riguardo e combattere l’indifferenza, spesso causa di molte situazioni sgradevoli.
La tecnologia, e i social particolarmente, alterano, quindi, la realtà, presentandola in modo distorto e filtrando gli eventi reali in base ai singoli individui.
Il tutto è aggravato dal fatto che nella nostra contemporaneità si inizia ad utilizzare i dispositivi elettronici sin dalla più tenera età, rischiando così di perdere ogni relazione con la realtà. I bambini di età sempre più inferiore ogni giorno incorrono, infatti, in video, foto, post decisamente non adatte alla loro età. Le grandi aziende approfittano quindi di questo fenomeno, creando contenuti indirizzati anche ai più piccoli, come ad esempio semplici giochi o video educativi. Questi, però, hanno un effetto di leggera assuefazione e il bambino non interagisce in maniera attiva, ma passiva, diventando, quindi, dipendente dalle tecnologie. Di conseguenza, quest’ultimo non solo perderà la logica, che non viene abbastanza allenata, e i suoi cinque sensi e le relazioni col mondo che lo circonda verranno meno, ma anche il suo cervello e le cellule nervose ne risentiranno gravemente, perché ancora in pieno sviluppo.
Inoltre, crescendo e convivendo con i social network e con notizie di stupro o violenze, una volta cresciuti riterranno tutto questo la normalità, promuovendo a loro volta un uso scorretto ed eccessivo della rete. Si ottiene, così, un ciclo, per il quale il singolo si sente spinto ad accedere, ed eccedere, alla rete, diventandone dipendente.
I più giovani, quindi, non essendo stimolati a ragionare e a muoversi nei contesti in cui si trovano, perdono la capacità di provare sentimenti veri e si abbandonano, accontentandosi, alle emozioni digitali, che sono poco durature e facilmente controllabili, diventando essi stessi in qualche maniera delle “macchine”.

Questo processo porta il giovane a screditare la vita reale, trasformandosi nelle “pedine” delle grandi potenze della rete. Ora, più che mai, infatti, i giovani vivono quella che viene considerata una vita irreale ed irrealizzabile; ognuno mostra in rete quello a cui aspira ad essere, ritoccando e modificando le fotografie, caricando video fasulli e prediligendo, quindi, la dimensione online del proprio essere. Credo sempre che l’antidoto a questa digitalizzazione prematura sia quello di non abituare i bambini all’uso di dispositivi elettronici e, tramite la pedagogia e la ludo-matetica, far conoscere loro le varie componenti del mondo reale. Questa dipendenza ed estraniamento dal mondo esterno colpisce, però, anche i più grandi, i quali, incantati dalla tecnologia, arrivano perfino ad affidarsi ad appositi algoritmi per poter trovare l’anima gemella. Si può, quindi, affermare, che Internet, e i social media in particolare, siano un’arma pericolosa, uno strumento di danno per chiunque non li utilizzi in modo appropriato, attirando la persona in questione in una trappola di sofferenza e malinconia.
A mio parere l’importante è conoscere ed essere consapevoli che marketing e politica stanno mettendo in piedi team di consulenza, i quali si servono dell’intelligenza artificiale per raccogliere i nostri dati personali, al fine di riutilizzarli o rivenderli in un secondo momento ad altre aziende che, sulla base di essi, possono influenzare le nostre decisioni. Così facendo ci rinchiudono in una “gabbia” dandoci l’idea di semplificarci l’esistenza e di essere liberi e in pieno controllo dei nostri desideri, quando invece avviene il contrario, poiché questi sono indotti e, quindi, “somministrati dagli stessi”. Il cervello umano è, infatti, facilmente influenzabile da svariati fattori, quali ad esempio i colori, oltre che i comportamenti di chi ci circonda.

Ma finché accade nel mondo reale poco importa. Il problema sorge quando questi fattori vengono utilizzati anche dalle aziende globali tramite social network, al fine di variare a loro piacimento il nostro umore, le nostre abitudini, la nostra dieta. Secondo la teoria dei “neuroni specchio”, l’uomo è indotto a fare una determinata cosa in relazione a ciò che fanno gli altri; questa è la chiave dell’empatia e dell’educazione da una parte, ma anche del marketing e delle pubblicità dall’altra. Il seguente processo agisce sul nostro inconscio, così che noi spesso non c’è ne rendiamo nemmeno conto. Questa forma di manipolazione la si può notare anche nelle elezioni politiche, dal momento che i social influenzano anche l’affluenza al voto e i voti stessi verso un determinato orientamento politico, come è successo durante le ultime elezioni americane, per opera della ormai nota Cambridge Analytica.

Questo fenomeno è strettamente collegato anche a quello dei cosiddetti “influencer”, ovvero persone molto carismatiche che agiscono sulle piattaforme internet e sui social network più utilizzati, e che vengono seguite dalle masse, le quali si abbandonano alle decisioni di questi. Queste figure, che aumentando la propria popolarità acquisiscono sempre più potere di influenza psicologica e di controllo, in particolare verso i più giovani, sono in grado di far cambiare l’opinione a loro favore attraverso l’uso del linguaggio. Così facendo viene meno, però, la facoltà di pensiero e ragionamento su un determinato argomento, tipica dell’uomo. La parola, infatti, come sostengono gli studiosi della filosofia del linguaggio e delle scienze umane, ha un grande potere, perché influisce sul sistema nervoso e, di conseguenza, sull’intera persona.

A mio parere, si sta tornando, quindi, ad un uso a carattere sofista del linguaggio e della retorica, perché il loro scopo principale, è proprio quello di ingannare e manipolare il prossimo, e non quello di discutere e confrontarsi pacificamente riguardo un argomento, al fine di avere un’idea discussa e condivisa, come accadeva, invece, con Socrate e in genere nell’antica Grecia..
Ma Internet offre anche svariate opportunità, come ad esempio i così chiamati video-tutorial e il fenomeno degli youtuber, che ormai è diventata un’attività lavorativa a tutti gli effetti. Questi due fenomeni vanno spesso di pari passo, dal momento che molti youtuber pubblicano dei video educativi o di divulgazione culturale sulla piattaforma.

Personalmente, credo che l’accesso ad Internet sia una fonte di alta utilità, in quanto ricca di informazioni e pensieri differenti, ma vada controllata e dosata nel modo corretto. È importante, quindi, saper discernere i contenuti validi da quelli di poco valore, perché molti risultano essere sofisticati e superficiali e, paradossalmente, anche diseducativi. Anche in questo frangente può intervenire la pedagogia per automatizzare il processo di riconoscimento dei prodotti offerti validi.
Io, personalmente, utilizzo molto internet per informarmi e ampliare le mie conoscenze. Ultimamente su Youtube sono disponibili innumerevoli contenuti attendibili, perché proposti da studiosi competenti, tra cui anche docenti di università nazionali e internazionali, quali la Cambridge University, il Politecnico di Milano o la cinese Tsinghua University.

I Big Data, però, possono essere utilizzati anche a favore dell’umanità, come ad esempio nello studio della medicina e della biologia. Grazie alle nuove tecnologie addestrate attraverso dati di qualità e ad algoritmi specifici che seguono un metodo scientifico a carattere aristotelico, si possono infatti superare nella medicina quelli che una volta erano percepiti come limiti invalicabili. Oltre al cosiddetto “post-operatorio” la tecnologia può essere un comodo ausilio ai dottori persino nella diagnosi e nella lettura, per esempio, di lastre e radiografie mediche. Un esempio è rappresentato dalla medicina personalizzata e di precisione, che studia il funzionamento di un farmaco sull’individuo analizzato, in base al suo genoma (il linguaggio che le nostre cellule iniziano a costruire il nostro corpo), al fine di sviluppare cure e farmaci personalizzati, o di isolare e rimuovere tumori (come sta già sperimentando l’azienda americana. Microsoft).

Questo, per quanto mi riguarda, è un ottimo impiego della tecnologia, in quanto può aiutare il medico curante, mettendo in evidenza problemi che all’occhio umano potrebbero sfuggire, pur perdendo la propria privacy in ambito medico-scientifico. I nostri dati, anche quelli medici, infatti, non sono più nostri, ma del mondo intero e dell’ininterrotta ricerca scientifica e del suo progresso.
Io credo che sarà quasi impossibile “annientare” o impedire questa diffusione di dati personali, perché in internet tutto diventa automaticamente eterno, anche dopo la morte del singolo.
Essi possono quindi essere considerati una copia dell’identità di ogni uomo e donna.
Oggi, l’uomo carica in rete la propria intera vita, formata da una mole significativa di dati, i quali, anche dopo la morte, esisteranno per sempre, donando una parte di noi ad un mondo virtuale in mano all’intelligenza artificiale.
Una soluzione per rientrare in controllo dei propri dati potrebbe essere offerta in futuro dalla tecnologia “blockchain”, un registro digitale distribuito, che registra le transazioni in modo sicuro e difficilmente accessibile.

A Taiwan si stanno facendo delle ricerche per sviluppare un sistema digitale etico attraverso l’utilizzo di questa tecnologia, per cui si possono donare i propri dati alla ricerca anche dopo la morte.
Trovo questa soluzione più vicina ai nostri bisogni di privacy e tutela, anche se, purtroppo, ancora troppo distante e poco sicura, perché sempre affidata alla rete, luogo accessibile da chiunque.
Un altro ambito in cui potremmo risentirne a causa della tecnologia e dell’intelligenza artificiale è quello lavorativo. Come sostiene l’ economista e sociologo Federico Pistono, alcuni lavori rimarranno, mentre molti altri, che noi magari riconosciamo come poco piacevoli perché troppo “meccanici”, saranno svolti da robot e, quindi, noi potremo dedicarci allo studio, ad attività che richiedono l’intelligenza umana e la creatività e al perfezionamento e aggiornamento delle stesse tecnologie (le tecnologie dell’intelligenza artificiale, pur essendo in rapido sviluppo, non sono ancora in grado di sostituire l’uomo in mansioni che richiedono flessibilità, discrezionalità e che, più in generale, non si prestano ad essere codificate).
Credo sia importante ricordare, infatti, che tutto questo nuovo mondo tecnologico è frutto della nostra intelligenza e logica e, quindi, dipenderà da noi molto probabilmente per sempre e viceversa (noi dipenderemo dalle sue funzionalità e opportunità). Inoltre, noi esseri umani siamo in grado di provare sentimenti, emozioni, tra cui l’empatia e disponiamo di creatività e di una coscienza, che ci rendono unici. In alcuni ambiti, però, ci stanno già sostituendo. Ad esempio in Giappone i robot tengono dei corsi di ginnastica per anziani, fungendo da personal trainer, al fine che questi rimangano in salute e autosufficienti o sono persino in grado di presentare il Telegiornale, come Erika, uno degli umanoidi più evoluti al mondo.

A partire da queste riflessioni sorge una domanda a carattere etico e sociale: vale la pena inventare qualcosa che, in futuro, potrebbe essere in grado di sostituirci pienamente? A mio parere, nel giro di qualche anno arriveremo a coesistere pacificamente aiutandoci reciprocamente (nel rapporto uomo-macchina), come sostiene anche lo studioso giapponese Hiroshi Ishiguro.
Dal concetto di imitazione e di autoapprendimento, nasce il grande mondo della robotica e dell’intelligenza artificiale, la quale sfrutta i neuroni per l’umanizzazione di cyborg o, al contrario, di inserti robotici nel corpo umano.

Si può, quindi, affermare che la neuroscienza è il punto di inizio della vita umana attuale e, innanzitutto, del futuro della società, partendo dal campo lavorativo, alla società ed alla politica. In un futuro, prossimo le differenze qualitative tra robot e uomo saranno molto probabilmente scomparse del tutto, dal momento che noi stessi molto probabilmente saremo ricoperti di tecnologia, ovvero cyborg.
Adesso stiamo connettendo le cose a internet, ma il prossimo passo sarà quello di connettere le persone alle cose, come è successo con l’artista di New York Neil Harbisson. Egli può essere considerato il primo cyborg, dal momento che ha elaborato, e in seguito impiantato nel proprio cervello un complesso chip costantemente connesso ad internet contenente un software che traduce i colori in suoni, al fine di ovviare al suo problema di forte daltonismo che lo accompagna dalla nascita, avendo quindi un sesto senso. Neil Harbisson afferma anche che, in futuro, il possesso di un inserto tecnologico nel proprio corpo sarà considerata la normalità. A me l’idea di cyborg destabilizza leggermente, nonostante possa permettere di rimediare ad un deficit, perché molto distante dalla nostra natura umana e quindi inquietante.

Non concordo infatti con la modifica artificiale del corpo umano, in quanto “sacro” ed intoccabile, in questo mondo dove sempre più persone hanno il desiderio di modificare il proprio corpo.
Altra tematica decisamente rilevante è l’etica della robotica. Pur apprezzando il potenziamento dell’uomo stesso e delle sue conoscenze raggiungibile grazie alla sua interazione con la tecnologia, sono convinto che non si debba prescindere dal garantire da parte dei robot o delle parti meccaniche installate, un comportamento etico e di non prevaricazione dell’essere umano.
Bisognerà, quindi, implementare delle norme morali nei dispositivi elettronici e nei robot, al fine di renderli in grado di prendere decisioni eticamente corrette. La filosofia svolge un ruolo importante in questa ricerca che si sta espandendo sempre più e che prosegue di pari passo col progresso tecnologico.
Un esempio lampante, che mi sembra opportuno portare, è l’utilizzo ormai massiccio di robot nelle guerre, che possono così essere combattute da remoto.
Io ritengo fondamentale che l’uso di questi strumenti non comporti un distacco tra agenti o militari (operatori) e la violenza che operano attraverso l’uso di queste tecnologie. Non bisogna inoltre assecondare la macchina arrivando alla sospensione di giudizio, perché l’uomo è l’unico ente ora presente sulla terra in grado di avere una visione critica delle situazioni e della realtà come insieme.
Infine, credo che se il futuro che ci aspetta avrà queste caratteristiche, si arriverà ad una completa violazione dei diritti umani.

A mio parere, come molti altri credono, è ancora più preoccupante tutto quello che si può realizzare attraverso l’analisi e l’utilizzo dei Big Data, i quali sono molto ambiti dagli Stati e dalle grandi e piccole aziende, al fine di avere un controllo sempre maggiore, se non totale, dei cittadini, che risultano essere, quindi, delle “marionette” e non più degli individui. La privacy, infatti, non è morta ma deve essere rinegoziata, come sta accadendo con i nuovi regolamenti sulla materia attualmente al vaglio in vari Stati.

La tutela di quest’ultima sta diventando sempre più importante, poiché essa, in questo momento, costituisce la nostra stessa identità di individui e di esseri umani, in contrapposizione alle “intelligenze artificiali”, anche se probabilmente, tra qualche anno, molti utenti della tecnologia saranno in possesso di qualche apparecchio installato nel proprio corpo, o magari direttamente nei geni, diventando quindi cyborg essi stessi. Se così fosse, bisognerà riconsiderare e ridisegnare le varie leggi che ci tutelano come uomini e proteggono la nostra privacy, ampliandole anche agli umanoidi e robot.
Ci si pone infine una grande domanda di carattere etico sull’effettiva utilità della tecnologia: non ci siamo, forse, adattati in modo passivo a questa nuova prepotente introduzione della tecnologia nella vita di tutti i giorni?
Bisogna, quindi, a mio parere, accettare i lati positivi (e propedeutici alla nostra crescita) del progresso tecnologico, e distruggere l’indifferenza che ci è indotta dalla tecnologia stessa, informandoci, battendoci per i nostri diritti e per le nostre qualità e virtù e avendo sempre un pensiero critico su ciò che accade, non venendo così “cosificati”.
In primavera, ho partecipato alla rassegna Smart City Week, di Trento, e mi sono reso conto che la tecnologia è anche in grado di influenzare positivamente l’utente. Ad esempio l’applicazione GreenApes registra gli spostamenti e le attività svolte degli utenti e premia con dei punti Smart (o con) quelli legati ad uno stile di vita eco-sostenibile e eco compatibile.
I punti possono essere poi convertiti in premi concreti, che valorizzano le risorse territoriali della regione in cui ci si trova, grazie a delle convenzioni con alcune aziende locali.
Trovo molto interessante l’idea, anche se credo che non debba essere la tecnologia o un’applicazione a indurmi a comportarmi nel rispetto per l’ambiente. Molti infatti, come ha anche ribadito lo sviluppatore, sono attratti e disposti a modificare le proprie abitudini solo per poter ricevere la ricompensa in cambio.
È necessario, quindi, ricordare che il rispetto del valore della persona e le conseguenti azioni etiche partono dal fare buon uso del proprio ragionamento, da uno stile di vita che richiede atteggiamenti critici e riflessivi costanti per accogliere con giudizio ed equilibrio le importanti innovazioni prodotte dal genere umano.
Spero che i prossimi studi, i dibatti in classe e in occasione delle Assemblee d’Istituto possano tornare su questi temi, per me di straordinario interesse ed importanza.