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Yana Yudytska, la nostra lettrice di russo: “Vengo dalla Russia e amo l’Italia…”

Nel nostro liceo numerosi professori provengono da Paesi esteri. In un liceo linguistico, avere un docente madrelingua per una o più lezioni durante la settimana aiuta noi studenti a migliorare la pronuncia della lingua studiata e ad avere un contatto diretto con culture diverse dalla nostra.

Abbiamo deciso di intervistare una di questi insegnanti un po’ per curiosità personale, ma soprattutto per poter capire come sono organizzate le scuole all’estero, quali sono le principali differenze con l’Italia e come è stata l’esperienza di trasferirsi in un altro Paese. La professoressa Yana Yudytska, docente lettrice di russo, molto gentilmente ha dato la sua disponibilità per questa intervista e ha risposto ad alcune nostre domande.

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La bandiera della Russia

 

Perché ha deciso di lasciare il suo Paese per venire in Italia?

“Sono nata in Unione Sovietica, a Kiev. Nonostante la guerra fredda, i rapporti fra i nostri due paesi sono sempre stati molto buoni. Infatti, le prime canzoni che ho sentito da piccola erano quelle cantate da Albano e Romina, dai Ricchi e Poveri, da Adriano Celentano. Ci riunivamo in famiglia a guardare per l’ennesima volta “Il bisbetico domato” e seguivamo trattenendo il respiro la serie televisiva “La piovra”. Nel 1974 è uscito il film italo-sovietico “Una matta, matta, matta corsa in Russia”, tanto amato dai miei concittadini. Come molti dei miei coetanei, sono cresciuta con un grande amore verso l’Italia e la sua cultura. Ho imparato l’italiano e spesso andavo in vacanza in Italia. Il caso volle che un giorno, in ufficio della mia azienda a Kiev, io incontrassi una persona di nazionalità italiana e che un anno dopo diventasse mio marito. Il resto è la normale storia di una coppia”.

Qual è la cosa che più le manca dell’Ucraina?

“Mi mancano molte cose. Ma sono cose dell’infanzia. Non sono proprio cose “ucraine”, “russe” o “sovietiche”. Sono cose che ho vissuto da bambina. Il profumo di bosco dove andavo a raccogliere i funghi con mio nonno, la marmellata alle fragole di mia nonna, il gioco dell’elastico nel cortile della scuola. Sono i ricordi che hanno tutti, a prescindere della nazionalità o provenienza. Quello che mi manca sono le persone che, purtroppo, non ci sono più e tutte le emozioni vissute insieme”.

È stato difficile imparare l’italiano?

“Per me l’italiano è stata una lingua meravigliosa, una lingua del paese che amavo molto, sin da bambina. Per questo motivo è stato molto divertente e piacevole impararla”.

Da quanti anni è in Italia?

“Ho lasciato l’Ucraina quando avevo 21 anni e ne sono oramai passati 20 da quando sono arrivata”.

Come si è sentita all’inizio?

“All’inizio mi sono sentita molto disorientata. Mi sono trasferita a Salerno, la città di mio marito, e la prima cosa che ho scoperto è stata la barriera linguistica. Sui libri ho imparato l’italiano in modo perfetto e mi sono sentita mortificata quando, a casa dei miei suoceri salernitani, non riuscivo a capire una singola parola di quello che dicevano. Il mio disagio era aggravato anche dal mio carattere, introverso, controllato e poco socievole. Nel nuovo ambiente mediterraneo regnava una specie di caos, o almeno per me lo era. Troppe emozioni. Le persone in continuo movimento che vogliono sempre sapere come stai e vogliono raccontare come stanno loro. E tutto questo circondato da mare, sole, musica, profumi, feste, traffico fuori controllo…”.

 È riuscita ad abituarsi?

“Con gli anni sono diventata una parte di questo mondo, mi sono abituata e ho iniziato ad essere anch’io una persona un po’ mediterranea. E certe volte qui, in Trentino, mi manca molto questa allegria e leggerezza che io chiamavo “il caos” ”.

Secondo lei, quali sono le principali differenze tra l’Italia e la Russia?

“Abbiamo dei passati differenti, nel secolo scorso ci siamo trovati su due lati opposti rispetto alla cortina di ferro e quindi ci sarebbero tante differenze da raccontare. A questa domanda risponderebbero meglio i miei colleghi di geostoria. Perciò, in questa intervista, vorrei rispondere alla domanda dei ragazzi del nostro liceo, coinvolti nel progetto dello scambio: “Ma se vado in Russia, come mi devo comportare? Cosa faccio appena entro in una casa di russi?” Se parliamo di oggi, la globalizzazione culturale ha cancellato quasi tutte le differenze culturali tra i giovani russi e quelli italiani, e questo me lo hanno confermato anche i ragazzi italiani che tornano dalla Russia. Molti vogliono tornarci un’altra volta perché lì si sentono a casa”.

 Qualche altra particolarità o differenza che le viene in mente?

“Ora che ci penso, forse una cosa particolare ci sarebbe… Togliete sempre le scarpe quando entrate nella casa di una famiglia russa! Credo sia una delle poche tipicità russe rimaste. Un’altra delle differenze è che da noi non ci sono tanti dialetti: quando hai imparato il russo, quello va bene in tutta la Russia. Questo se si parla delle grandi città, perché, come in Italia, nei piccoli centri le tradizioni sono più dure a morire”.

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La matrioska, simbolo nazionale della Russia

 

 

Ci racconti qualche tradizione della scuola russa.

“Vi posso raccontare solo delle tradizioni “sovietiche”. Ai tempi in cui io andavo a scuola, tutta la società sovietica doveva prepararsi ad un eventuale conflitto bellico con l’Occidente. Perciò, anche a scuola, avevamo delle lezioni periodiche dove ci insegnavano come mettere la maschera antigas, come medicare un compagno ferito e come e dove scappare in caso di bombardamento. Ogni anno, con il segnale della sirena, lasciavamo le classi e scappavamo nel boschetto lì vicino, dove erano scavate delle grotte con delle stanzette. Per noi bambini, erano giornate molto divertenti ed era anche l’unico di tipo di “visita guidata/lezione itinerante” che avevamo durante l’anno scolastico”.

Come sono le lezioni in Russia? Frontali o interattive?

“Purtroppo, io ho finito gli studi molti anni fa, ma in Unione Sovietica le lezioni erano frontali. Lo scambio di opinioni, per ovvi motivi, non era richiesto. Dovevi solo imparare le cose e non si discuteva né sul materiale didattico né sul suo contenuto. Ho sentito che, per fortuna, le cose sono molto cambiate. Ora, come anche nel mondo occidentale, i ragazzi russi sono stimolati ad esprimere la loro opinione ed interagire con i loro compagni ed insegnanti”.

I docenti sono più severi?

“Ho visto che ci sono stati dei cambiamenti anche in questo ambito. In Russia, la funzione dell’insegnante è cambiata molto. È cambiato anche il rapporto tra insegnanti e studenti, è diventato più diretto e collaborativo. Si cerca di dare sempre più fiducia ai ragazzi e di sostituire la classica figura severa ed autoritaria di insegnante con una figura amichevole, disponibile ed autorevole”.

Da quanti anni insegna?

“Ho iniziato ad insegnare 4 anni fa”.

È felice dei suoi studenti?

“Questa è una domanda interessante. Siamo due generazioni diverse. Ogni insegnante ed ogni studente ha il suo carattere, le sue ansie, le proprie storie familiari. Questa convivenza è molto difficile per tutti. Ogni classe ha le sue dinamiche di gruppo, la sua piccola storia. Io insegno conversazione in lingua straniera. Oramai, tutti gli studiosi della didattica delle lingue sono d’accordo che, per imparare meglio una lingua straniera, si deve tornare bambini, giocare, recitare, inventare le situazioni, fingere. Per me, ogni lezione è una specie di piccolo “spettacolo”, dove siamo tutti un po’ attori. Se uno degli attori (lo studente oppure l’insegnante) non sta bene, lo “spettacolo” ne risente, ma sono molto felice quando riusciamo a recitare bene insieme, quando vedo l’entusiasmo, quando riusciamo a ridere insieme, quando si sbaglia e ci si corregge insieme. Invece sono molto triste quando qualcosa non va, quando il rapporto diventa puramente matematico, misurato sulla scala da 1 a 10, e la campanella fa tirare il sospiro di sollievo a tutti”.

È il lavoro che ha sempre sognato?

“Sì, da piccola sognavo di fare l’insegnante. Poi, per volere dei miei genitori, ho intrapreso una strada diversa: Laurea in Economia e Commercio, varie specializzazioni… A Kiev, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in un’economia in forte espansione, a 20 anni sul mio bigliettino da visita avevo già la bella scritta “Direttore Finanziario”… Ma la vita mette le cose sempre al loro posto e oggi non scambierei il mio lavoro di insegnante con nessun altro al mondo”.

Secondo lei, qual è l’aspetto più facile del russo?

“L’aspetto più facile è l’alfabeto. Mi spiego: è vero che è diverso da quello latino, ma è sempre molto divertente imparare a scrivere con i caratteri diversi, vedere il proprio nome scritto cambiare aspetto. Quasi tutti noi, da piccoli, abbiamo giocato ad inventare un alfabeto segreto e scambiare i messaggini segreti con i nostri amici del cuore. Quindi, studiare l’alfabeto russo è come tornare a giocare”.

Invece qual è l’aspetto più difficile?

“Purtroppo, dopo l’alfabeto il “gioco” finisce. Bisogna davvero studiare. Secondo me, l’aspetto più difficile del russo sono i suoi verbi, poiché richiedono molto esercizio e pratica. Ma se la lingua piace, queste difficoltà si superano con impegno e costanza nell’apprendimento”.

Come si trova nella nostra scuola?

“Mi trovo molto bene nel nostro liceo. Non ho mai insegnato in altre scuole, perciò non posso fare paragoni, ma so solo che qui mi sento a casa. Mi trovo bene con i miei colleghi, mi trovo bene con gli studenti. E spero che il sentimento sia reciproco”.

Un incoraggiamento per tutti gli studenti?

“È la prima volta che parlo di me in una intervista e ringrazio le ragazze per questa opportunità. Spero di aver soddisfatto tutte le vostre curiosità. Auguro a tutti un buono e sereno studio, ma soprattutto di realizzare i vostri sogni!”

 

Chiara Trentinaglia

Giulia Horvat